È un sabato mattina, come sempre mi ritrovo al bar con i miei vecchi compagni di scuola, amici fraterni. Un caffè, battute, risate, ma anche spazio (poco) per le cose serie.
Uno di noi arriva più tardi, è appena andato in pensione nonostante non sia ancora sessantenne; lo guardo mentre si avvicina al tavolo. Mi sembra improvvisamente diventato anziano, forse la postura mi inganna. Lui non è cambiato, i miei occhi sono diversi.
Realizzo che sarò io il prossimo del gruppo a terminare la vita lavorativa. 2-3-4 anni, non so, ma so che non sono pronto per stare a casa e che, quindi, devo trovarmi qualcosa da fare, devo preparare il terreno.
Un pomeriggio, al lavoro, sto cercando sul web notizie di un’azienda; improvvisamente un’idea, o un’immagine, non so…Ma non ti ha sempre interessato il Mental Coaching? Non è il caso di fare sul serio?
Allora navigo in internet e mi imbatto in un sito che mi sembra interessante; tra i trainer vi sono due allenatori di basket professionisti. Non li conosco personalmente, ma so che sono persone serie. Quindi l’azienda è seria. Leggo, guardo, cerco di capirne qualcosa in più. Faccio un test e poi…inizia il tutto.
Tutto ok, ho agito di impulso, ma…a cosa mi serve? Non lo so esattamente, ma poco importa. So che mi terrà il cervello sveglio e poi voglio qualcosa su cui concentrarmi quando andrò in pensione. I cantieri non mi hanno mai appassionato.
La spiegazione del percorso è chiara e la scelta del trainer ricade su un mio concittadino al quale mi accomuna la passione per il basket.
Il percorso è bello, interessante, stimolante e piacevolmente provocatorio, soprattutto nella prima fase nella quale devo fare i conti con me stesso. Mi rendo conto di quanto mi sarebbe stato utile tanti anni fa un supporto di questo tipo nello sport, nel lavoro e – soprattutto – nella mia vita personale. Forse avrei fatto le stesse scelte o forse no, ma sicuramente avrei avuto più consapevolezza e fiducia in me stesso.
E poi, quali obiettivi? Forse quello di dare un nome alle cose, classificare in modo più strutturato e consapevole alcuni aspetti di cui già sapevo qualcosa e capire l’uso di alcuni strumenti che forse già utilizzavo inconsapevolmente.
Gli sguardi, il linguaggio del corpo: aspetti che mi hanno sempre affascinato. Dallo sguardo si intuiscono molte cose delle persone, dal linguaggio del corpo molto delle loro emozioni che vivono in quel momento. Sul campo da basket, il linguaggio del corpo dice tanto, forse tutto del livello di attenzione e di fiducia che hanno i giocatori. Me ne accorgevo, ma non lo sapevo e non so tuttora, come fare a “gestirlo”, che parole utilizzare, che linguaggio usare.
La comunicazione: questa è la parte del percorso che più mi ha fatto pensare; più leggi, più ti confronti e più ti osservi, più capisci quanta strada devi fare e quanti errori hai commesso, seppur in buona fede.
E poi, il dialogo interno; quante volte dentro di me affiorava e spesso dominava una voce che mi metteva ansia e paura di sbagliare, di non essere all’altezza, di deludere qualcuno o me stesso.
La visualizzazione: in quante occasioni l’ho utilizzata, certo in modo inconsapevole, fin da bambino, quando sognavo ad occhi aperti. Scoprire che si tratta di un’arma potentissima è stata una sorta di grande soddisfazione.
Fiducia: ho sempre pensato e ho sempre avuto riscontri reali sul fatto che una persona o una squadra quando, come si dice, è in fiducia, può fare qualsiasi cosa.
Concentrazione: è sempre stata una certezza il fatto che sia allenabile, al pari del fisico, dell’atletismo, della tecnica e della tattica. Ma per farlo serve comunque uno sforzo maggiore, perché non si tratta di lavorare duramente sul proprio fisico o sulle proprie capacità o attitudini tecniche. È un aspetto difficilmente misurabile e che richiede molto più tempo per essere assimilato. Ma come in tutte le cose, si guarda, si cerca di imparare, si prova, si sbaglia, si riprova si sbaglia di nuovo e ancora e ancora…finché non diventa un automatismo, come un gesto tecnico, come la capacità di decodificare una situazione prima degli altri o, comunque, senza andare in ansia.
Ecco, mi piacerebbe poter supportare qualche atleta nel proprio allenamento mentale, seguirlo in un percorso, dal quale – io per primo – posso imparare qualcosa. Mi piace l’idea di mettermi al servizio di una persona e di accompagnarla. Vedere, osservare, godere di quante cose scopre di sé stesso nel corso del tempo, fermarlo ogni tanto per farlo voltare indietro e fare in modo che si renda conto di quanta strada ha fatto…di com’era e com’è diventato, facendo tutto da solo, perché il lavoro è in gran parte suo.
Non so se farò mai il Mental Coach professionista, perché come tutti non ho visione del futuro; so che ho fatto bene ad iniziare il percorso e penso che continuerò a leggere, studiare, guardare, osservare, chiedere, confrontarmi e, nel frattempo, provare ad applicare le prime conoscenze che ho appreso nella vita di tutti i giorni. Soprattutto dovrò essere un po’ meno pigro….
E se dovessi svolgere la professione? Empatia e capacità di ascolto non mi mancano, certo è un po’ poco, ma credo siano prerequisiti essenziali. Poi, piano piano magari diventerò anche bravo.