Recensione del volume “Prigionieri di una diagnosi” di Albertina Pretto, edito da Libreria universitaria.It nel 2016.
Di Matteo Noè
Albertina è un’amica, una collega, una sociologa e una persona che sicuramente gode della mia stima, per cui quando ho saputo di questo libro non ho voluto lasciarmelo scappare.
Io sono disabile da ormai 15 anni, ma nonostante questo non conoscevo ancora tanti risvolti di questo mondo. “Nel corso di una lezione all’ università, ho chiesto ai miei studenti: «Secondo voi, cosa vogliono i disabili?» e una studentessa ha immediatamente risposto con tono compassionevole: «Compagnia!», così come si suole dire pensando all’ anziana nonna allettata che non sempre abbiamo voglia di andare a trovare. Ma la disabilità è altro, e ancora oggi non la conosciamo abbastanza.” (P.5)
In questo volume l’autrice parla ampiamente dei grandi cambiamenti avvenuti nei campi dell’istruzione e del lavoro relativamente ai rapporti tra la società e le così dette “categorie protette”, non mancando di citare le norme introdotte che hanno regolato e regolano tutt’oggi questi rapporti.
Il libro è frutto di una ricerca sociologica e come tale è impostato. Ne consiglio la lettura non solo agli “addetti ai lavori”, a chi direttamente si occupa di sociologia o di persone con disabilità, ma anche a tutti coloro che si occupano di Mental Coaching, a chiunque abbia a che fare con persone con disabilità e, perché no, a chi voglia migliorare la propria conoscenza di questa parte della società molto più ampia di quanto si possa credere.
Leggendo questo testo si potrà capire quanta strada, quanti ostacoli questa categoria abbia dovuto superare per arrivare ai giorni nostri e quanti ancora ne dovrà affrontare per giungere ad una condizione ideale e di reale parità con i “normodotati”. Oltre a questo, si potrà grazie a queste conoscenze acquisire un’ulteriore importante dose di empatia verso persone, che molto spesso, anche con tutti i loro svantaggi hanno una marcia in più.
