Il Mental Coach Vitucci: “Si vince solo di squadra”

Written by on 16/04/2024

Intervista a Frank Vitucci, Mental Trainer di Mental Training Italy, sull’importanza dell’allenamento mentale e del gioco di squadra apparsa su “La tribuna di Treviso” e tenutasi presso Crich corner, location della omonima azienda dolciaria trevigiana dove si tengono eventi volti a discutere temi sportivi e non solo.

Il Mental Coach Vitucci: “Si vince solo di squadra”

L’allenatore di TvB ospite da Crich: “Mission impossible con Milano? Macché, ma troppi fattori sono cambiati dall’andata”

Federico Bettuzzi / TREVISO

Allenare la mente, non solo i muscoli. È la missione del Mental Coach, una figura professionale che ha acquisito sempre più importanza nell’imprenditoria. Frank Vitucci riassume in sé tanto il ruolo di capoallenatore e dunque tecnico e tattico della prima squadra Nutribullet, quanto di Mental Coach qualificato per le aziende. E proprio in questa particolare doppia veste è intervenuto ieri pomeriggio al Crich Corner di via Barberia, portando a beneficio dei manager aziendali la sua esperienza di formatore. “Un Mental Coach non è uno psicologo”, ha sottolineato Vitucci, marcando una differenza sostanziale. Semmai si tratta di un professionista che facilita le dinamiche interne, individua gli ambiti di intervento, capisce come gestire le risorse umane. “È un’attività nata in un periodo di pausa forzata del mio ruolo di allenatore – ha ricordato – da allora ho affinato il ruolo cogliendo ogni aspetto del lavoro di gruppo e con i singoli”.

In attesa del match teoricamente proibitivo di domani alle 17.00 al Palaverde contro Milano (“Ma non parliamo di partita impossibile, altrimenti tanto varrebbe raccogliere i borsoni dopo l’allenamento e non presentarsi”), Vitucci ha rivelato tanti aspetti di una doppia professione nell’ambito del coaching che si specchia in continuazione. “Il mestiere d’allenatore per me è stato un piano B. Volevo come tutti diventare un giocatore, ben presto ho capito che non lo sarei stato e ho avviato un’altra carriera, anche vincendo la diffidenza in famiglia. Ho avuto la fortuna di avere grandi maestri, da Tonino Zorzi a Pero Skansi passando per Messina, Blatt, Mahmuti. Con Ettore siamo rimasti amici, ho vissuto con lui due stagioni altamente formative. Mi è dispiaciuto che Milano non abbia raggiunto i play­in di Eurolega ma a prescindere dal rapporto che mi lega a Messina, quella del Palaverde sarà una partita e non un incontro amicale tra colleghi. E non commetteremo certo l’errore di prendere ad esempio la partita d’andata: troppi dettagli sono cambiati rispetto ad allora”.

Tornando all’ambito del Mental Coaching, Vitucci ha utilizzato alcuni esempi pratici della storia della pallacanestro per spiegare le dinamiche di lavoro in gruppo. A cominciare dalla questione del talento: “Quella è una variabile che permette di vincere una partita, ma per arrivare al momento clou, al tiro decisivo, occorre che prima vi sia l’impegno di tutta la squadra. Prendete i Bulls di Michael Jordan: non vincevano nulla in termini di titoli, al massimo dei riconoscimenti individuali; per dominare la Nba, Phil Jackson fece capire a Jordan che avrebbe dovuto integrarsi, lavorare con la squadra”.

Gli individualismi, dunque, non sono mai produttivi. Né vivono di assoluti: “Dimenticate la figura del giocatore immarcabile che si allena poco perché dotato di capacità superiori. Belinelli ha 38 anni ma resta un elemento di caratura superiore perché non sottovaluta i dettagli, si allena duramente, segna ogni giorno 500 canestri. Solo col metodo si diventa campioni”. E il gruppo, come si costruisce? “A volte da un foglio bianco, altre volte da un insieme consolidato. Oppure accettando quel che si trova, è il caso del subentro in corsa su una panchina. Occorre creare la giusta chimica. Abbiamo scelto il doppio capitano, Zanelli e Harrison, perché la squadra ha tante realtà differenti al proprio interno e un solo soggetto non avrebbe potuto gestirle da solo. Ci si deve parlare, si deve condividere, capire le diversità. Le regole devono essere chiare ma ancor prima ci deve essere il rispetto alla base di tutto”.

La ricetta per assemblare un gruppo di lavoro o una squadra vincente passa per la scelta delle persone, ma anche per pochi ma chiari principi: “Innanzitutto la condivisione dei valori e degli obiettivi. Poi la creazione di un’identità e la corretta suddivisione dei ruoli”. Dettami chiari che sono replicabili in campo così come in azienda. E che, è questo l’auspicio, possano portare TvB alla salvezza. ­



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