Reagiamo alle avversità, cerchiamo tenacemente una soluzione, ci impegniamo nel superamento degli ostacoli a seconda di come guardiamo alle cose.
In realtà, le stesse sfide vengono da alcuni vissute come opportunità, e da altri come insidie. Le medesime difficoltà, vengono da alcuni affrontate come occasioni per esaltare le proprie capacità, e da altri come incidenti in cui si svelano i propri limiti.
Dal canto mio, ho sempre affrontato la vita con ottimismo, convinto che essa ci mette sempre di fronte a sfide alla nostra portata, che in fondo tutto concorre al nostro bene. Purtroppo, queste mie convinzioni furono messe davanti a un’immensa difficoltà, che volentieri avrei evitato, specialmente in quel momento, per poi trovare l’ennesima conferma.
Era l’inizio di ottobre del 2009 e mi ero sposato da poco più di 15 giorni, quando dalla mia officina mi stavo spostando verso un paese vicino in motocicletta per acquistare dei ricambi. Percorrendo una strada non molto grande e poco trafficata, incontrai un gruppo di ciclisti, lo seguii per un pochino e poi decisi di superarli. Appena passate le prime biciclette, uno di loro scattò in maniera repentina, probabilmente per superare uno dei compagni. Così, per superarlo senza colpirlo, mi spostai rapidamente a sinistra. Purtroppo però, nella direzione opposta sopraggiungeva una macchina e fu un attimo.
Colpii l’anteriore del veicolo con la parte sinistra della mia moto, e il parabrezza con il manubrio e il mio braccio sinistro. La ruota anteriore della Punto venne strappata dal cilindro sporgente della mia BMW GS e il parabrezza andò in mille pezzi. Io venni sbalzato in avanti, fermandomi solo quando il mio casco andò ad impattare contro il palo del guard rail. Immediatamente calo il buio.
L’elicottero del 118 mi portò in Pronto Soccorso, dove i medici mi salvarono la vita, ma le mie condizioni restavano disperate. Mi ero fratturato 5 costole e perforato entrambi i polmoni, il braccio sinistro era pressoché distrutto e rischiava l’amputazione, vi era un grave trauma cranico, mi ero rotto la settima vertebra cervicale e c’era la possibilità di un grave ed irreparabile danno midollare, che mi avrebbe probabilmente impedito la deambulazione, e forse addirittura la respirazione autonoma. Mi svegliai in terapia intensiva dopo 18 giorni di coma, il mio braccio era ancora al suo posto, ma stava iniziando la sfida più lunga ed impegnativa di tutta la mia vita.
Subito dopo il mio ricovero alla clinica Maugeri di Pavia, dove sarei rimasto in riabilitazione per i 18 mesi successivi, nonostante le condizioni di quasi totale paralisi e di grande dolore, nella mia mente si affollavano pensieri positivi e nuovi obiettivi.
Sapevo che sarei tornato ad essere quello di prima. Avrei ricomprato una moto, che ancora in un letto cercavo di scegliere sulle pagine di Motociclismo sfogliato da mia madre, data per me l’impossibilità di farlo da solo nel mio letto; sarei ritornato a praticare la mia tanto amata pesca a mosca, a camminare sul greto dei torrenti che avevo nel cuore.
È con questi pensieri che ogni giorno affrontavo la ginnastica riabilitativa e il dolore, nonché l’enorme difficoltà per me, abituato com’ero alla totale autonomia, di dover chiedere aiuto per ogni cosa. Data l’impossibilità, soprattutto nei primi mesi, di fare anche le azioni più normali e più banali.
Questo atteggiamento ottimistico alimentava costantemente la speranza che un giorno anche questo periodo sarebbe finito e sarei tornato alla normalità, dandomi la forza e l’energia per affrontare le quotidiane difficoltà. Dirò di più, tale comportamento permise un recupero rapido e contrario a ogni aspettativa. A ogni diagnosi medica. Sì, 18 mesi sembrano tutt’altro che rapidi, ma vi garantisco che partivo in netto svantaggio e decisamente sottozero. Comunque, un pezzo alla volta, costantemente riconquistavo le mie capacità.
Imparai nuovamente a parlare con l’aiuto di una logopedista, a respirare autonomamente e senza tracheotomia, a mangiare, e questa fu davvero una sfida molto dura, non potendo contare su una piena funzionalità delle mani. Al contrario di ogni pronostico, però, tornai ad avere un buon controllo dei miei arti, mano sinistra a parte, lentamente ricominciai a camminare, e non mi diedi per vinto finché non tornai addirittura a guidare un’automobile.
È vero, non avrei più comperato o guidato una motocicletta, ne avrei più potuto usare le mie canne da mosca sui miei torrenti preferiti, ma fui in grado fin da subito di accettare quanto era accaduto. Fui capace di essere resiliente, e di adattarmi alla nuova condizione, creando un nuovo me stesso e una nuova filosofia di vita.
Mai come in questo momento della vita mi fu utile quella mia attitudine a vedere il bicchiere mezzo pieno. L’ottimismo mi spinse alla continua ricerca del miglioramento, e mi diede la forza di continuare anche quando i pareri dei medici erano a mio sfavore, o quando il dolore sembrava opprimermi. Anche nei momenti in cui le evidenze parevano contrarie. Addirittura, ho saputo cercare in quella situazione dei vantaggi che mi permettessero di crescere, e che mi rendessero più forte di prima. Solo una delle prove a cui fui sottoposto mi vide momentaneamente sconfitto. Dovetti continuare a lottare ancora per anni, prima di conoscere il Mental Coaching, che mi permise di avere la meglio.