L’alley–oop a mio parere è uno dei gesti più difficili e maestosi della pallacanestro, e questa è anche la metafora che mi viene facile usare pensando a quella magica coordinazione che sarebbe bello raggiungere tra un mental coach e il suo coachee.
Un giocatore effettua un assist ad un altro giocatore mirando in alto, non già a canestro, ma nello spazio tra il canestro e il giocatore che sta correndo verso il canestro. Se la coordinazione tra i due giocatori è vincente, il giocatore che sta correndo a canestro salta, afferra la palla al volo e la schiaccia a canestro garantendo spettacolo assicurato per gli appassionati di basket.
Credo di aver sempre saputo che la mente necessiti di un allenamento tanto quanto il fisico. Fin da bambina infatti, avevo la percezione di quanto ogni mia azione fosse condizionata dalla presenza di una componente mentale. La percezione di allora assieme alla consapevolezza di oggi e alle tante testimonianze di grandi campioni come Marcell Jacobs, per citarne una tra le più recenti, oltre a confermare che la mente è effettivamente in grado di governare le nostre azioni, mi danno evidenza del fatto che la mente può essere allenata, in primis da noi stessi e ancora meglio se supportati da qualcuno, in modo da creare facilmente le condizioni per ottenere uno sviluppo ideale e poter sfruttare appieno il proprio potenziale.
Personalmente avrei voluto ricevere questo assist prima.
Ho finito la mia carriera di pallacanestro dopo 23 anni, di cui gli ultimi 7 trascorsi nella squadra di San Giorgio di Mantova. In 7 anni abbiamo conquistato due promozioni, e l’ultimo anno in serie A2 ho giocato con il ruolo di capitano.
Sono orgogliosa dei risultati ottenuti, è ovvio. Ma in questi anni sono stata talmente focalizzata sul voler fare sempre meglio, che non mi sono vissuta pienamente quei traguardi. Non ho goduto del successo ottenuto. Perchè?
Il mental coaching mi ha dato dei punti chiave su cui riflettere.
Per esempio, non mi sono mai data un obiettivo personale chiaro, definito e misurabile. Come si fa a misurare il “fare sempre meglio”?
Oppure, se avessi trasformato il mio dialogo interno da…
“Sì, abbiamo vinto il campionato, ma meritavo più minuti in campo”
in…
“Alice, hai vinto il campionato! È il tuo secondo campionato e hai realizzato per ben due volte un sogno che avevi fin da bambina! Brava, tutti i tuoi sacrifici ti hanno portato a vivere questo momento. Ti meriti di festeggiarlo qui e ora, con tutta te stessa, con queste persone, con questa squadra, davanti a questo pubblico!!”
…Probabilmente i minuti giocati in quella finale sarebbero passati in secondo piano, mi sarei vissuta di più il momento presente, avrei cominciato la stagione successiva con più motivazione e ora il ricordo del senso di frustrazione non sarebbe così nitido, anzi, forse il ricordo potenziato dalla gioia vissuta in quel momento non avrebbe lasciato nemmeno spazio agli altri dettagli meno rilevanti.
Purtroppo fare il mental coach alla me di ieri oggi non è possibile. Ma so che posso aiutare la me di oggi e altre persone a sgrovigliare almeno in parte quei nodi che la nostra mente ci mette davanti costantemente anche di fronte alle cose più semplici, come fare un tiro a canestro, eseguire un compito, parlare ad un allenatore, divertirsi.
Ritengo che avere qualcuno che ci aiuti a migliorare il modo di pensare, a spostare il focus su obiettivi chiari e a fare luce sulla nostra direzione, sia un bisogno più o meno nascosto che tutti abbiamo, indipendentemente se siamo uomini o donne, bambini o adulti, dipendenti o manager di altissimo livello. Perché tutti possediamo una mente, formuliamo pensieri, traiamo conclusioni, ci facciamo domande e spesso, capita che le risposte che ci diamo non siano le risposte che meglio si vestono su di noi.
Penso che il mental coach non sia un lavoro per tutti, e che sicuramente per essere un bravo mental coach si debba prima di tutto dimostrare di aver sperimentato nella propria vita quegli stessi principi e metodi che si ha intenzione di trasmettere agli altri. Oltre a trasmettere l’efficacia percepita attraverso la propria esperienza, il mental coach deve riuscire a creare uno spazio intimo, sicuro e privo di giudizio, in cui la persona riesca a sentirsi a proprio agio a trovare fiducia. Una sfida ambiziosa, ma sicuramente affascinante per le persone che hanno accolto e vorrebbero condividere il valore della crescita personale.
Per concludere… Penso che una filosofia di mental coaching per una crescita personale e per uno sviluppo ideale sia un obiettivo sempre più concreto nella società di oggi.
Anche se per alcuni il mental coach è ancora una figura poco compresa e che suscita dubbi, sempre più atleti a livello mondiale stanno dando testimonianza su quanto è importante mantenere il focus anche sull’allenamento mentale: senza il giusto approccio mentale infatti, gli sforzi sarebbero troppo grandi da sostenere e non porterebbero probabilmente gli stessi risultati oppure nell’ottenere comunque il successo, non ci si sentirebbe pienamente realizzati.
Ed è in questo contesto che cresce la curiosità e si accende il coraggio di rivolgersi a quei “generatori di assist” nel cammino verso la scoperta di sé e di come sfruttare al massimo le proprie potenzialità e, nello stesso tempo, io acquisisco coraggio e desiderio di rendermi disponibile ad accompagnare questi sognatori nel mettere in pratica un piano d’azione in linea con i propri obiettivi e dare vita assieme ai più spettacolari alley-oop.